Il 24 aprile viene commemorato il genocidio armeno, commesso tra il 1915 e il 1917 dall’impero ottomano.
Benché il fatto sia ritenuto storicamente accertato, alcuni stati, prima fra tutti la Turchia, continuano a negare che si sia trattato di “genocidio”.
Ma cos’è il genocidio degli armeni del 1915?
Con questo termine si indicano i massacri della popolazione cristiana (armeni, siro cattolici, siro ortodossi, assiri, caldei e greci) avvenuti in Turchia tra il 1915 e il 1916.
La popolazione armena, di religione cristiana e quindi con ideali di stampo occidentale, costituiva un ostacolo culturale e politico per il governo dei Giovani Turchi.
L’obiettivo degli ottomani era la cancellazione della comunità armena come soggetto storico, culturale e soprattutto politico, attraverso un piano di sterminio e deportazione di massa.
Dapprima i maschi adulti furono concentrati in “battaglioni di lavoro” dell’esercito turco e poi uccisi, in seguito ci fu la fase dei massacri e delle violenze indiscriminate sulla popolazione civile.
Infine, i superstiti furono costretti ad una terribile marcia verso il deserto, nel corso della quale centinaia di migliaia di uomini morirono per fame, malattia, sfinimento o furono massacrati lungo la strada.
Secondo lo storico polacco Raphael Lemkin (che ha coniato il termine genocidio) si è trattato del primo episodio in cui uno stato ha pianificato ed eseguito sistematicamente lo sterminio di un popolo.
Nonostante le fonti turche tendano a minimizzare la cifra, il genocidio armeno causò circa 1,5 milioni di morti.
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