Il sogno americano

Una casa con una staccionata bianca, un prato verde, vicini amichevoli e due o tre bambini.
Questo è l’immaginario collettivo dell'”American dream”.
L’avercela fatta o almeno il sogno di potercela fare, di “sistemarsi” e vivere serenamente come in uno spot pubblicitario anni ’50.

L’origine del sogno americano nasce con l’allontanamento dai modelli del Vecchio Mondo e la conseguente Rivoluzione industriale che mise in atto la macchina del Capitalismo che corre a tutto spiano ancora oggi.
La speranza che, attraverso il duro lavoro e la determinazione, si possa raggiungere un migliore tenore di vita e la realizzazione di sé ha portato orde di migranti europei e non a lasciare tutto e partire verso l’ignoto.

Con in tasca poco più di un sogno, le persone che fuggivano verso la terra promessa si trovavano di fronte alla Statua della Libertà pronti per rimettersi in piedi e creare un nuovo modello di società composto da self made men.
Tra case a Long Island e feste stravaganti, durante gli anni Venti del ‘900 si consolida quindi la società dei nuovi ricchi: come ne “Il Grande Gatsby”, però, si iniziano già a intravedere le fragilità di un mondo incentrato sullo sfavillio, la superficialità e il guadagno.

Mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e i borghesi si adattano ai nuovi sobborghi con le staccionate bianche, gli emarginati della società cercano di ribellarsi e fuggire, vivendo a modo loro il “sogno americano”.
Razzismo e violenze contro i neri sono all’ordine del giorno per tutto il ‘900 nonostante la azioni di alcuni abolizionisti dell’800 come Harriet Beecher Stowe che, con il suo romanzo antischiavista “La capanna dello zio Tom”, cercò di cambiare le condizioni di vita degli afroamericani e abrogare leggi come il “Fugitive Slave Law”, che obbligava a denunciare gli schiavi fuggiti e la conseguente restituzione ai proprietari.
La corsa verso un’America migliore è raccontata nel romanzo vincitore del Premio Pulitzer 2017 La ferrovia sotterranea nome con cui si indica, nella storia degli Stati Uniti, la rete clandestina di militanti antischiavisti che nell’Ottocento aiutava i neri a fuggire dal Sud verso gli stati liberi del Nord.

L’evoluzione dell’American Dream porta quindi agli anni cinquanta, con il consolidamento dell’idea della “famiglia perfetta”, il mantenimento dello status quo e alla nascita di nuove possibilità economiche e di sviluppo.
Il consumismo dettato dal capitalismo e il continuo bisogno di espansione economica portano alla necessità di rientrare in determinati standard, con conseguente marginalizzazione di sempre più persone.
Nel libro Quello che non ti ho mai detto si racconta la storia di una famiglia diversa da quella tipica americana: l’espediente del romanzo giallo viene usato come metafora per raccontare le difficoltà di una coppia interrazziale e di una famiglia alla ricerca delle proprie origini.
Lo sviluppo dell’ideale americano viene raccontato anche nel romanzo Middlesex, ambientato tra gli anni ’30 gli anni ’70 tra la Turchia e l’America. Il narratore Cal o Calliope, nato metà maschio e metà femmina a causa di un gene recessivo presente da sempre nella sua famiglia, ripercorre tutto l’albero genealogico della sua famiglia, analizzando così anche i cambiamenti nella società degli Stati Uniti.

I simboli del sogno americano contemporaneo sono uomini che dal nulla, grazie all’impegno e ad una forte determinazione, sono riusciti a costruire un impero.
Steve Jobs, raccontatosi nell’unica biografia autorizzata di Walter Isaacson, è il volto di un’America che attraverso l’autodeterminazione è capace di realizzare i propri sogni.
Un altro uomo che nella vita rappresenta il sogno di ogni bambino americano è Barack Obama, afroamericano, che, diventando il primo presidente degli Stati Uniti d’America, ha dimostrato che tutti possono avere un sogno e raggiungerlo, come racconta ne I sogni di mio padre.